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Omero

Omero è il leggendario cantore che avrebbe composto intorno all’VIII secolo a.C. l’Iliade e l’Odissea.

Gli antichi lo consideravano un poeta realmente esistito e diverse città dichiaravano di avergli dato i natali, ad esempio Smirne e Colofone, anche se la tradizione più diffusa era che fosse nativo di Chio per via del fatto che in una delle opere a lui attribuite si definisce “il cieco che abita in Chio” (tanto che sull’isola sorse una scuola di Omeridi, cioè di rapsodi che si consideravano suoi discendenti).

Oggi si ritiene che Omero non sia stato un personaggio storico reale, quanto piuttosto un nome che simboleggerebbe l’attività letteraria che diede vita all’Iliade e all’Odissea; da questo punto di vista, il fatto che nell’antichità Omero fosse considerato cieco sarebbe una metafora del poeta che vede la realtà con l’occhio interiore e non con la semplice vista.

Il dibattito sulla reale esistenza del poeta prende il nome di questione omerica.

La questione omerica

Già nell’antichità le differenze di stile e di contenuti dei due poemi omerici accesero un dibattito sull’effettiva paternità delle due opere.

I grammatici Senone ed Ellanico attribuirono l’Iliade a Omero e l’Odissea a un cantore sconosciuto, mentre l’autore del trattato Sul sublime (secondo alcuni anonimo, secondo altri identificabile con Dionisio Longino) affermò che Omero aveva composto l’Iliade durante la giovinezza e l’Odissea durante la vecchiaia.

La questione fu ripresa nel Seicento da François Hédelin, abate d’Aubignac, che definì Omero un personaggio immaginario.

La sua idea era che i poemi omerici fossero una raccolta tardiva e inorganica di canti indipendenti composti in precedenza da vari poeti. Questa tesi nasceva dalla volontà di dimostrare la superiorità poetica di Virgilio, autore dell’Eneide e poeta latino per eccellenza, rispetto a Omero.

Da lì in poi il dibattito si fece sempre più ampio e nel Settecento coinvolse Giambattista Vico, che vide nelle due opere una creazione collettiva di vari cantori, ritenendo Omero un’idea simbolica degli uomini di quell’epoca.

La questione omerica, intesa come un’analisi scientifica sulla genesi dei due poemi e di conseguenza sull’effettiva esistenza di Omero, ebbe inizio nel 1795 con Friedrich August Wolf, che nei Prolegomena ad Homerum, sulla base di elementi linguistici e narrativi interni ai poemi, affermò che l’Iliade e l’Odissea erano  nati dall’unione di canti indipendenti tramandati oralmente e riuniti solo in un secondo momento.

L’esistenza di Omero non veniva negata, ma circoscritta alla produzione del nucleo narrativo attorno a cui erano state poi aggiunte le altre sezioni. Sulla scia di queste considerazioni Karl Lachmann postulò che i poemi fossero sorti da rapsodie del tutto separate all’origine e poi aggregate insieme.

Si crearono in poco tempo due scuole di pensiero, quella unitaria, secondo cui i poemi erano stati realizzati da un unico autore, e quella analitica, secondo cui le due opere erano il frutto di nuclei narrativi a sé stanti. Ulrich Von Wilamowitz cercò di conciliare le due teorie, sostenendo che un singolo autore aveva raccolto canti separati intorno a un unico argomento.

La questione omerica giunse a una svolta decisiva nel Novecento con Milman Parry, che venne a conoscenza della capacità di alcuni cantori serbocroati di improvvisare oralmente racconti eroici lunghi quanto i due poemi omerici utilizzando come strumento di base della composizione la formula, cioè porzioni di testo ripetute.

Parry capì che l’Iliade e l’Odissea non erano altro che il risultato di una lunga tradizione orale, in cui i cantori recitavano una storia già esistente servendosi di formule che ne facilitavano la memorizzazione e modificandola a seconda dell’occasione in cui la recitavano. Fu dunque chiaro che i poemi omerici non andavano più studiati dal punto di vista scritto, bensì orale (e considerati quindi come racconti tramandati oralmente e spesso modificati).

Opere

Omero è tradizionalmente considerato l’autore dell’Iliade e dell’Odissea. Si tratta di due poemi epici ambientati al tempo della leggendaria guerra di Troia:

Iliade

L’Iliade è il poema di Ilio (altro nome della città di Troia) e racconta le vicende della guerra di Troia, di cui però non descrive tutto lo svolgimento, bensì un periodo di cinquanta giorni all’inizio del decimo anno dello scontro.

La trama ruota intorno all’ira di Achille, il più forte degli eroi greci, adirato con Agamennone, fratello di Menelao e capo della spedizione, che gli ha sottratto la schiava Briseide. Achille si ritira sdegnato dalla guerra e prega gli dei che l’esercito greco venga punito per l’arroganza di Agamennone. Ha così inizio una lunga serie di sconfitte dell’armata greca, che prega Achille di tornare in battaglia. Dato però che l’eroe si rifiuta, il suo amico e amante Patroclo gli chiede in prestito le armi, in modo da scendere in campo e spaventare i nemici fingendo di essere lui. Lo stratagemma inizialmente funziona, ma Patroclo viene presto ucciso da Ettore, capo dell’esercito troiano. Achille piange l’amico defunto e decide allora di scendere di nuovo in campo per affrontare Ettore, che viene ucciso in uno scontro individuale.

Il poema si chiude con i funerali di Ettore, evento che preannuncia l’imminente caduta di Troia.

Odissea

L’Odissea è il poema di Odisseo (meglio noto con il nome latino di Ulisse) e racconta il ritorno dell’eroe da Troia a Itaca, sua isola natale, che riuscirà a raggiungere solo dopo una lunga serie di peripezie. 

Il tema narrativo del poema è dunque il νόστος (nostos), cioè il ritorno in patria, che fu raccontato anche per gli altri capi achei alla fine della guerra. Nell’Odissea il νόστος si sviluppa attorno a due elementi principali:

  • il viaggio, durante il quale Odisseo approda in territori misteriosi e leggendari
  • la riconquista del potere, dato che Odisseo, una volta tornato a Itaca, deve riaffermare la propria autorità e liberarsi dei pretendenti che aspiravano alla mano di sua moglie

A differenza dell’Iliade il racconto si concentra su un unico personaggio, Odisseo, eroe astuto e abile a parlare, tanto da essere definito “dall’ingegno multiforme” (fu sua l’idea del cavallo di legno). L’eroe, dopo essere rimasto confinato per sette anni sull’isola di Ogigia con la ninfa Calipso, salpa su una zattera alla volta di Itaca, ma viene sospinto sull’isola dei Feaci da una tempesta scatenata da Poseidone.

Qui racconta le disavventure che gli sono capitate dopo la guerra di Troia e riceve poi una barca con cui tornare a casa, dove scopre che la moglie Penelope è assediata da un gruppo di pretendenti, conosciuti come proci. Con l’aiuto del figlio Telemaco e dei servitori che gli sono rimasti fedeli Odisseo uccide i proci e torna ad essere il legittimo re dell’isola.

La società descritta dai poemi omerici

Il mondo omerico è caratterizzato dalla presenza degli eroi, cioè tutti quegli uomini e quei semidei che regnano solitamente su una città o su un popolo e che sono dotati di una forza straordinaria.

Gli eroi sono suddivisi in γένη (ghene), cioè gruppi gentilizi legati da vincoli di parentela o di ospitalità, e hanno come scopo esistenziale il conseguimento del κλέος (cleos), la gloria, che possono ottenere in guerra attraverso la τιμή (timé), cioè il valore militare.

Nella società descritta da Omero, fortemente competitiva, ha dunque un ruolo centrale il γέρας (gheras), il bottino di guerra, che testimonia il coraggio e l’ardore con cui hanno combattuto i singoli eroi, dato che viene assegnato in proporzione al peso che ciascuno di loro ha avuto nell’impresa bellica. È per questo motivo che Achille nell’Iliade si adira violentemente con Agamennone per la richiesta di cedergli Briseide, che costituisce il bottino che gli è stato assegnato e che quindi rappresenta il suo stesso onore.

La civiltà dei poemi omerici è quindi stata definita una civiltà di vergogna, cioè una civiltà in cui il comportamento umano dipende dall’opinione e dalla considerazione degli altri; il disonore è il peggiore dei mali, perché è l’opposto del più alto dei valori per gli eroi, cioè l’onore.

Questo scenario è predominante nell’Iliade, dove la guerra è per l’appunto lo sfondo di tutti gli eventi narrati. Nell’Odissea, anche se questi elementi sono presenti, non sono preminenti, perché a essere in primo piano è la figura dell’uomo, rappresentato da Odisseo. Questa differenza risulta già evidente nelle due parole con cui iniziano i poemi, cioè μῆνιν (menin) nell’Iliade, che significa “ira”, e ἄνδρα (andra) nell’Odissea, che significa “uomo”. L’Odissea è più incentrata sull’interiorità umana e sui sentimenti che accompagnano sia il ritorno a casa dell’eroe sia l’attesa da parte dei suoi familiari; nell’Iliade momenti simili non mancano, come dimostrano le lacrime di Achille per la morte di Patroclo e l’abbraccio di Ettore alla moglie Andromaca e al figlio Astianatte, ma sono marginali rispetto al resto del racconto, incentrato sulla guerra. Una cosa che invece accomuna i due poemi è la presenza degli dei, che sono antropomorfi e prendono parte attivamente alle vicende umane.

I valori trasmessi dall’Iliade e dall’Odissea spinsero i Greci a vedere in entrambi i poemi il fulcro della propria identità nazionale e la base di partenza per l’educazione delle giovani generazioni. Non a caso, entrambe le opere venivano insegnate regolarmente agli studenti dell’antica Grecia e venivano considerate l’inizio della storia della letteratura greca.

Che cosa c’è di vero nei poemi omerici?

L’Iliade e l’Odissea furono a lungo considerate opere di fantasia, finché nel 1870 Heinrich Schliemann, un commerciante tedesco appassionato di letteratura classica, ipotizzò, sulla base di elementi interni ai due poemi, che l’antica Troia fosse davvero esistita e si trovasse in Asia minore (cioè sulle coste dell’attuale Turchia). Organizzò dunque una campagna di scavo, trovando sulla collina di Hissarlik, posta sullo stretto dei Dardanelli, i resti di un’antica città. In seguito, si spostò in Grecia e fece la stessa cosa per le principali città descritte da Omero, portando alla luce le vestigia di Micene e di Tirinto.

Si scoprì quindi che era effettivamente esistita una città chiamata Troia e una civiltà, che Schliemann chiamò micenea, attiva in Grecia in epoche remote. Inoltre, nel 1952 furono decifrate da Michael Ventris e John Chadwick le tavolette rinvenute nelle città greche di questa nuova civiltà, la cui lingua fu chiamata Lineare B.

Oggi sappiamo che la guerra di Troia fu un evento realmente accaduto e che fu condotta intorno al 1200 a.C. dai Micenei per motivi probabilmente economici, dato che Troia si trovava in un punto strategico, da cui poteva controllare i traffici marittimi verso l’attuale mar Nero.

L’Iliade e l’Odissea traggono quindi ispirazione da eventi che erano effettivamente accaduti e contengono al proprio interno elementi relativi alla storia e alle strutture sociali dei Micenei, mescolati però ad elementi cronologicamente posteriori, cioè risalenti all’epoca in cui i due poemi furono composti (VIII secolo a.C.).

In particolare, l’Iliade rappresenta una fase leggermente più antica della civiltà micenea, dato che mostra i suoi re al massimo del potere e in piena guerra contro Troia, mentre l’Odissea rispecchia la fase finale di questa civiltà, in cui i vari regni stanno attraversando un momento di crisi (e infatti Odisseo deve combattere contro i Proci, che intendono sottrargli il potere).

Stile

Lo stile dell’Iliade e dell’Odissea rispecchia la natura orale dei due poemi, che prediligono infatti la paratassi (cioè tante frasi principali e poche frasi subordinate) e sono basati sulle formule, cioè su espressioni formate da più parole che si ripetono sistematicamente e che aiutavano gli aedi nella recitazione. Allo stesso modo, i nomi dei personaggi sono accompagnati quasi sempre da un epiteto (Achille dal piede veloce, astuto Odisseo…) o dal patronimico, cioè dal nome del padre (Achille viene chiamato Pelide, in quanto figlio di Peleo).

È frequente l’uso di similitudini, che avevano il compito sia di fornire una pausa al ritmo dell’azione sia di creare un’immagine immediatamente visibile e comprensibile per l’uditorio (e infatti viene preferita alla metafora, più difficile da comprendere al volo). Le similitudini si dividono in due gruppi, quelle che riguardano i fenomeni naturali o gli animali e quelle che hanno a che fare con la vita quotidiana dell’uomo.

La narrazione mostra spesso una composizione ad anello (ringkomposition), cioè una struttura in cui quanto è stato detto all’inizio viene ripreso alla fine, in modo da chiudere circolarmente una determinata porzione di testo con parole identiche o assai simili. Si tratta di un altro espediente che usavano gli aedi per facilitare la memorizzazione e il canto del racconto.

La lingua omerica è un misto di dialetto eolico, ionico e acheo. Ci sono inoltre tracce di dialetto attico (dovute alla redazione dei poemi ad Atene nel VI secolo a.C. durante la tirannide di Pisistrato) e alcuni elementi riconducibili al miceneo, ad esempio il genitivo in οιο (oio), derivato dal genitivo in οσjο (osio) miceneo, con successiva caduta della consonante sibilante.

Il verso è l’esametro, considerato dagli antichi il più adatto ai contenuti eroici ed epici.

Omero minore

Con l’espressione Omero minore ci si riferisce ad alcune opere che per lungo tempo furono attribuite ad Omero, ma che non sono sue:

  • poemi del ciclo
  • inni omerici
  • Batracomiomachia
  • Margite

Poemi del ciclo

Una serie di poemi epici che completavano il racconto della guerra di Troia:

  • Canti Ciprii, in cui vengono esposti gli eventi che precedono la guerra. Raccontano la decisione di Zeus di scatenare il conflitto per ridurre l’eccesso di popolazione sulla terra, il giudizio di Paride, il rapimento di Elena e il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, per propiziare una fausta partenza all’esercito greco.
  • Etiopide, Piccola Iliade e Distruzione di Ilio, che narrano gli avvenimenti successivi all’Iliade. L’Etiopide racconta la lotta di Achille con Pentesilea, regina delle amazzoni, e contro Memnone, re degli Etiopi; inoltre, viene narrata la morte dell’eroe, colpito da una freccia di Paride. La Piccola Iliade si concentra sulla follia di Aiace, impazzito per la decisione di concedere le armi di Achille a Odisseo e non a lui. La Distruzione di Ilio narra l’ingresso a Troia del cavallo di legno e la conquista della città (il racconto del cavallo non compare dell’Iliade, bensì qui).
  • Nostoi, cioè i racconti del ritorno in patria dei vari eroi achei dopo la fine della guerra (a eccezione di Odisseo, il cui ritorno è raccontato nell’Odissea).
  • Telegonia, cioè la storia di Telegono, figlio di Odisseo e Circe, che si reca a Itaca alla ricerca del padre e lo uccide senza riconoscerlo. Si sposa poi con Penelope, mentre Telemaco si sposa con Circe.

Inni omerici

Un insieme di trentatré componimenti in esametri dedicati a varie divinità e concepiti per essere recitati prima dei poemi epici. Gli inni si dividono in due gruppi in base alla lunghezza del testo, cioè inni maggiori e inni brevi.

Gli inni maggiori sono quattro e sono dedicati rispettivamente a Demetra, Apollo, Ermes e Afrodite:

  • l’inno a Demetra racconta il rapimento di Persefone da parte di Ade e il tentativo della madre Demetra di ritrovarla
  • l’inno ad Apollo celebra il dio e racconta l’istituzione dell’oracolo di Delfi
  • l’inno ad Ermes racconta l’infanzia del dio e il suo carattere irriverente
  • l’inno ad Afrodite racconta l’amore della dea per il mortale Anchise, da cui avrà come figlio l’eroe troiano Enea

Batracomiomachia

La Batracomiomachia è un poemetto che narra la battaglia tra rane e topi, scesi in guerra per la morte del topo Rubabriciole, fatto annegare involontariamente dal re delle rane Gonfiagote, mentre lo trasportava sul dorso.

Si compone di circa trecento esametri.

Margite

È un poemetto perduto che raccontava la storia di Margite, uno sciocco incapace di contare fino a cinque e ignaro delle donne, tanto da non sapere come comportarsi durante la notte di nozze.

Era composto da esametri misti a trimetri giambici.