L’avaro e il leone d’oro (Gymnasion 1)
Traduzione della versione L’avaro e il leone d’oro di Esopo del libro Gymnasion 1:
Un uomo, avaro e vile, dopo che ebbe trovato un leone d’oro, diceva a se stesso: “Non so come devo comportarmi adesso (letteralmente nella presente circostanza) e non so che cosa fare, poiché sono diviso tra avidità di denaro e viltà.
Il mio animo infatti combatte con se stesso per questa cosa (letteralmente per le cose presenti): da una parte ama l’oro, dall’altra teme la lavorazione1 dell’oro; e da una parte il desiderio mi spinge a toccarlo2, dall’altra l’indole (mi spinge) a tenermi lontano”.
Infine, ebbe quest’idea (letteralmente fu macchinata una simile cosa): chiamando i molti servi forzuti che aveva (letteralmente chiamando i servi, che erano a lui molti e forti), ordinò loro di prendere il leone d’oro e di custodirlo in un luogo nascosto della casa; egli lo guardava da lontano, rallegrandosi di avere l’oro, ma senza cercare (letteralmente né cercando) di usarlo.
Il racconto mostra che ciò che non cerchiamo di usare in realtà è degli altri (letteralmente le cose che non tentiamo di usare, queste in realtà sono degli altri).
1 Meglio “la forma” in questo caso, anche se il vocabolario del libro non riporta tale significato per ἐργασία.
2 L’articolo τοῦ non compare nel testo originale di Esopo, per cui conviene ometterlo (la traduzione alternativa “il desiderio di toccarlo” non va bene, perché l’infinito ἅπτεσθαι è retto dal verbo ἐλαύνει, come avviene subito dopo con l’infinito ἀπέχεσθαι). Probabilmente l’articolo è stato inserito allo scopo di esplicitare il complemento oggetto di ἅπτεσθαι, che regge il genitivo.